Le foto delle regine del metal in Botswana: le Marok
Questa settimana si parla di donne nel mondo del rock, in tutto il mondo, anche in Africa.
Il fotografo Paul Shiakallis ha, infatti, documentato nella serie “Leathered Skins, Unchained Hearts” le donne metallare del Botswana. Tutto è iniziato quando il fotografo è stato invitato nel 2010 a un concerto a Gaborone, in Botswana, da un amica, il cui padre e zio erano gli organizzatori, oltre che essere stati i cantanti nella band Nosey Road, uno dei primi gruppi rock del paese negli anni ’70.
Durante il concerto Paul nota un gruppo di uomini vestiti come cowboy alla Mad Max: indumenti in stile post-apocalittico con T-shirt Heavy metal, pantaloni e giacche di pelle nera borchiati, stivali con gli speroni e cappelli da cowboy neri. Sul momento Paul pensa che si fossero vestiti così per l’occasione. Ma nel 2014 il fotografo viene nuovamente invitato a un concerto dalla zia, e nota che questa volte le persone vestite così sono donne. E se già è strano vedere in Botswana qualcuno vestito metallaro, vedere una donna vestita così lo è ancora di più. Subito attratto da loro, per via dell’aspetto minaccioso e molto poco signorile, capisce il gesto liberatorio e di sfida di queste grrrls e decide di fotografarle. Le donne, scopre, fanno parte della scena metal in Botswana, detta "Marok" in lingua Tswana. Veri e propri gruppi metal di grrrls africane. E un movimento che non è frutto di una sottocultura giovanile. Sono donne e uomini adulti.
Paul racconta così le vite di queste donne, che, oltre a sfidare la percezione della cultura africana moderna, sparigliano i ruoli di genere del paese. In Botswana, infatti, dalle donne ci si aspetta che siano gentili e sottomesse. “Per una donna vestirsi in pompa magna di pelle nera, darsi un soprannome volgare, bere pesantemente in pubblico, e urlare suonare musica heavy metal è una sfida aperta contro il proprio uomo e ciò che la società si aspetta da lei”, spiega Paul.
Molte di queste donne sono, però, casalinghe e questo rende la serie di Paul ancora più surreale, e anche, più intima. In una delle sue fotografie, ad esempio, mostra una Marok vestita con un giubbotto di pelle nera e frange seduta sul letto nella sua camera da letto mentre tiene in braccio il suo bambino nudo. Per alcune donne, che si riferiscono a sé stesse come “Queens”, regine, la propria casa è l’unico posto dove possono vestirsi così, condividendo le foto su Facebook. Internet è infatti diventato la culla di questa sottocultura e la pagina di ciascun gruppo lo specchio della sua fondatrice. Phoenix Tonahs Slaughter, una Marok, scrive sulla pagina FB di Paul: “Credo le ragazze rocker abbiano una voce forte sulla società normale perché 'devi essere una tipa schietta e molto forte dal momento che siamo sempre criticate. Solo le ragazze che credono in sé stesse e non hanno paura di esprimersi possono essere rocker."
Sleater-Kinney - #1 Must Have: dal quinto album in studio "All Hands on the Bad One" delle Sleater-Kinney, pubblicato nel 2000. Se Rebel Girl delle Bikini Kill è stata la canzone che ha alimentato il movimento delle Riot Grrrl, questo brano guarda con sguardo caustico il successo del movimento. La cantante e chitarrista Corin Tucker inizia, infatti, in tono pessimista il brano (“Bearer of the flag from the beginning / Now who would have believed this riot grrrl’s a cynic?”) per poi spostarsi sulla rabbia per la cooptazione e l'annacquamento del messaggio del movimento. Alla fine, tuttavia, lascia un messaggio di speranza, incoraggiando le donne a creare una nuova rivoluzione femminista.
No more, No more, No more
And for all the ladies out there I wish
We could write more than the next marketing bid
Culture is what we make it, Yes it is
Now is the time, now is the time, now is the time
To invent, invent, invent, invent, invent, invent...
Commenti
Posta un commento