Crisi economica e politica: la morte degli stili culturali diversi



La crisi nasce quando un modello prevarica sugli altri e mira alla loro soppressione. Nel mondo occidentale, e all’Europa in particolare, è stato imposto un «pensiero unico», una linea di sviluppo, non solo economica, che si è rivelata subdolamente autoritaria: un modello che ha colto la crisi solo come incombenza da superare eliminando la varietà e le differenze e assumendola come male assoluto, per sconfiggere la quale sembra lecito distruggere stili culturali diversi, modi differenti di guardare il signifi­cato delle cose. 

Con lo spauracchio della crisi le persone si sono chiuse in sé stesse, aspettando che passi, sperando che non le colpisca e temendo ogni intrusione di qualcosa di diverso.

Questa parola è quasi una parolaccia nei tempi di crack mondiale. Crisi. Crisi. Cri-si. Per i sudamericani come Juli, parlare de crisi è una ridondanza sempre attuale. In Brasile non conoscono la vita economica del loro Paese senza crisi.

Il Brasile, infatti, sta attraversando un momento di grave crisi politica, di cui si parla poco in Italia.
Dopo la procedura di impeachment verso la Presidente Dilma Rousseff, creata ad hoc da una colazione di grandi aziende e politici, in un vero e proprio colpo di stato, e l’arrivo di Michel Temer, si è formato un governo tecnico che vede al potere sinistra e destra assieme. A conferma della malafede di quanto accaduto, in questi giorni il presidente, circa un terzo del suo staff e buona parte della sua maggioranza parlamentare è accusata di corruzione, e vari processi aperti dalla magistratura stanno smontando il sistema politico del Paese che rischia di collassare completamente. Il Brasile sta riesplodendo in una protesta che assume dimensioni gigantesche. Al grido di “fora Temer” la popolazione si oppone alle sue riforme del lavoro, del sistema pensionistico e del welfare oltre che contro le sue politiche nei confronti degli indigeni. Insomma, come in buona parte delle potenze mondiali, si sta assistendo a un ritorno al nazionalismo e all'austerità, peraltro ingiustificata rispetto alle condizioni economiche del Brasile.

Come dicevamo il Brasile, come molti paesi sudamericani, si sono evoluti e modificati in momenti di crisi. Non dimentichiamo la grande emigrazione italiana che ha avuto come punto d'origine non la guerra ma la diffusa povertà di vaste aree dell'Italia e la voglia di riscatto d'intere fasce della popolazione, tra i secoli XIX e XX. 
Il fenomeno ha riguardato prima il Settentrione (Piemonte, Veneto e Friuli in particolare) e, dopo il 1880, anche il Mezzogiorno. In particolare, dai porti del Mar Mediterraneo partirono molte navi con migliaia di italiani diretti nelle Americhe in cerca di un futuro migliore. Si stima circa dieci milioni di persone. 

E proprio per questo motivo la seconda lingua più parlata in Brasile è il Talian, una varietà della lingua veneta parlata da circa 500.000 persone come prima lingua e complessivamente da quattro milioni di persone negli Stati brasiliani di Rio Grande do Sul e Santa Catarina, oltre che nei comuni di Santa Teresa e Venda Nova do Imigrante nell'Espírito Santo

Anche il nostro Paese sta attraversando una grave crisi economica dal 2008 e siamo tra i paesi che accolgono il maggior numero di migranti, fattori che stanno portando a un forte aumento del nazionalismo e direi anche del fascismo. 
E la cosa più assurda è che sono proprio i paesi o che sono stati occupati da migranti, come l'Australia, ad essere i più chiusi. Oppure, come noi, Paesi che hanno dimenticato la storia.

Scritto in collaborazione con Juli Wexel, giornalista, docente di portoghese e speaker radio e Tv in Brasile.


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