La musica di protesta per i diritti degli afroamericani


Quando si parla di musica e protesta non si può che iniziare parlando della musica black: il movimento di emancipazione degli afroamericani è stato accompagnato, nel suo secolare processo, dai canti di libertà intonati dagli schiavi al blues, passando poi al jazz e alla straordinaria stagione della Motown. 

Con l’affermazione del blues, i temi dell’uguaglianza e dell’integrazione trovarono un significativo veicolo di comunicazione nella musica. In una società come quella americana che negava agli afroamericani la dignità, l’uguaglianza e persino i mezzi per conquistarla, le grandi cantanti blues come “Ma” Rainey, Bessie Smith, Billie Holiday e molte altre dovevano il loro successo e la loro popolarità proprio all’intima conoscenza e personale esperienza “blues” della vita degli afroamericani; esse divennero simboli e portavoci della comunità nera e avrebbero contribuito grandemente a indicare alle donne un lento e difficile processo di emancipazione.

Billie Holiday


Anche il jazz ha avuto un ruolo nella lotta all’emancipazione: è impossibile non considerare il suo legame con la lotta per i diritti civili, che si rendeva sempre più neccessaria e che in un certo senso tale ambiente musicale ha contribuito a formare. Le strade del jazz erano e sono molteplici e allo stesso modo lo erano anche gli ideali e le sensibilità dei jazzisti del tempo, che si approcciarono alla questione del razzismo in modo diverso. Alcuni, come Duke Ellington, evitarono azioni troppo eclatanti ma allo stesso tempo furono granitici nella loro richiesta di rispetto e tolleranza. Ellington, infatti,  non accettò mai di suonare davanti a pubblici segregati, ovvero auditorium nei quali vi fossero aree riservate ai neri e aree riservate ai bianchi. Altri furono più diretti. Norman Granz, durante il suo Jazz at the Philarmonic, non solo chiese espressamente che non vi fossero indicazioni su quali settori le varie etnie dovessero occupare, ma si assicurò personalmente di staccare i cartelli che indicavano i bagni per i bianchi e quelli per i neri.


La canzone di protesta, impegnata, si colloca in un periodo storico ben preciso: gli anni Cinquanta - Sessanta caratterizzati, negli Stati Uniti d'America, dalla battaglia per i diritti civili della minoranza di colore e dal rifiuto, da parte di gruppi giovanili, dell'impegno americano nel Vietnam.



Martha e The Vandellas, insieme a Diana Ross e le sue Supremes, sono l'immagine disinvolta di un decennio attraversato invece da scontri e forti tensioni sociali: i violenti Anni Sessanta, segnati dal sogno spezzato di Martin Luther King e dalla parabola di Malcolm X sono anche quelli che vedono Sam Cooke rivoluzionare il mondo della musica. Aprendo, primo afroamericano nella storia, una propria etichetta discografica.

Da ricordare nella lotta per i diritti degli afroamericani l'eredità del genio assoluto dell'afrobeat, il nigeriano Fela Kuti, musicista, rivoluzionario e attivista per i diritti umani. E ancora, l’interprete che negli anni Sessanta raccolse maggiormente l’eredità di Bessie Smith e Billie Holiday: Nina Simone la cui musica divenne una cassa di risonanza perfetta degli avvenimenti che dilaniavano l’America. Con Four Women la Simone traccia un ritratto acustico della sottomissione della donna nera americana, schiava della sua bellezza o della sua situazione sociale. «All I want is equality, for my sister, my broche, my people, and me». 

Negli stessi anni, gli anni della guerra in Vietnam, anche la musica dei bianchi si riempie di contenuti politici. Bob Dylan prima e John Lennon e la Plastic Ono Band poi saranno il simbolo della contestazione giovanile tra gli anni ’60 e ’70.

Sam Cooke - A Change Is Gonna Come: scritta da Cook, ispirato da Blowin' In The Wind di Dylan, la canzone fu registrata nel 1963 e pubblicata nel 1964 poco dopo la sua morte. Il brano assunse particolare importanza negli anni sessanta in quanto inno del movimento per i diritti civili degli afroamericani.

Then I go to my brother
And I say brother help me please
But he winds up knockin' me
Back down on my knees, oh

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