Parlare un italiano corretto senza essere grammarnazi: intervista a Vera Gheno
Vera Gheno, sociolinguista, docente all'Università di Firenze e di Siena, autrice di "Guida pratica all'italiano scritto (senza diventare grammarnazi)” per Cesati Editore e gestrice del profilo Twitter dell'Accademia della Crusca racconta ai microfoni di Normcore come sia possibile parlare l'italiano in modo corretto senza esagerazioni e divertendosi e come i giovani e i social network stiano modificando il linguaggio, delineando una situazione ben più rosea rispetto alle notizie allarmanti di questi giorni.
Buongiorno Vera, benvenuta a Normcore! Non posso non partire dall’attualità: proprio in questi giorni tutti i giornali riportano l'appello di docenti, studiosi e accademici che chiedono un intervento urgente al governo e al Parlamento perché i ragazzi non sanno più l’italiano. Quale pensa sia il problema?
Intanto io faccio parte di una frangia un pochino ottimista. Non credo che le competenze dei giovani d’oggi siano così tanto terrificanti. Vorrei far notare due cose: prima di tutto il linguaggio giovanile si costruisce sempre per rottura rispetto alla lingua delle generazioni precedenti e quindi è abbastanza normale che ci sia dell’incomprensione tra “genitori e figli”, per così dire, in senso allargato. Ci sono dei contesti in cui i giovani hanno delle competenze linguistiche ricchissime, solo che non sono in contesti istituzionali: se parliamo di donne, motori, divertimento, musica eccetera troviamo una varietà lessicale grandissima. Quindi secondo me non è così grigia. È pur vero che sono dieci anni che lavoro in università e sono dieci anni che faccio notare che i ragazzi fanno degli errori che tecnicamente, da un punto di vista di quello che hanno studiato a scuola, non dovrebbero fare.
Come i congiuntivi, gli apostrofi…
Sì, accenti e apostrofi, la direzione dell’accento, il perché si scrive con l’accento grave o acuto, qual è con o senza apostrofo, oppure po’ con l’accento al posto che con l’apostrofo e così via. Ho cercato a lungo una spiegazione a questa debolezza.
Potrebbe essere in parte dovuto, come raccontavo due settimane fa, che in Italia si legge poco?
Sicuramente c’entra perché è vero che si possono fare corsi di scrittura però l’unica cosa che veramente t’insegna a vedere l’errore all’interno di un testo è averne letti tanti. Ai miei studenti dico sempre: se vedo un “qual è” con l’apostrofo all’interno di un testo è come se fosse in rosso, fosforescente e pulsante ma perché io nella mia adolescenza ho letto davvero tantissimo, ero un “bruco da lettura”, ero sempre sui libri. Purtroppo la società di oggi non permette la lettura di testi molto lunghi, non c’è il tempo, mi rendo conto io stessa che trascuriamo la lettura. Quindi in qualche modo giustifico queste nuove generazioni.
A questo proposito pensa che in un’epoca dominata dai social network, delle abbreviazioni selvagge, della mancanza di punteggiatura sia ancora possibile parlare un italiano corretto? Oppure la tecnologia ha cambiato il nostro modo di comunicare?
Sono tante domande in una. Prima di tutto vorrei citare una cosa che diceva uno dei miei maestri, il compiantissimo Achille Mauro, scomparso da poco. Commentando i dati Istat che evidenziavano come dagli anni ’70 in poi alle competenze linguistiche degli italiani sono andate sempre peggiorando diceva: “l’italiano sta benissimo, il fatto che noi lo usiamo sui social network in questa forma un po’ strana, con la scrittura veloce, le emoticon e tutto il resto è un segno del suo stato di salute positivo: una lingua sana è una lingua che si adatta ai nuovi mezzi di comunicazione”. “Casomai - diceva lui - non è la lingua che sta male ma sono gli italiani che stanno male”. Cioè la cultura media degli italiani è un po’ peggiorata e dunque diceva che si doveva lavorare su questo: non tanto dicendo che l’italiano sta morendo ma che bisogna coltivare le competenze degli italiani riguardo alla loro stessa lingua.
Certo, forse è proprio la cultura media. C’è da dire anche che prima degli anni ’70 c’era chi era molto acculturato e chi per nulla, era analfabeta. Oggi tutti “sparlucchiano” ma molti male.
Sì e poi tutto questo è diventato molto più visibile con i social network. La cosa che sconvolge molto nell’impatto con i social network è che si vedono scritte certe cose a cui, tutto sommato, nel parlato eravamo abituati. Cose come “se lo sapevo non venivo” invece di “se lo avessi saputo non sarei venuta” o altre costruzioni simili non sono insolite nel parlato. Fa un po’ strano vederlo nello scritto, proprio perché lo scritto dei social network è una cosa completamente diversa dallo scritto normale. È una specie di quarta via della lingua: abbiamo tradizionalmente il parlato, lo scritto, il trasmesso e ora questa nuova categoria di italiano “digitato”, che ha le sue proprie regole.
Oltretutto ci si confronta anche con persone che non avremmo mai incontrato e ci si rende conto che la realtà è un’altra rispetto a quella che si crede.
Sì, anche se è molto difficile cambiare le idee pregresse che uno ha, che è un ulteriore problema.
Come affronta il tema nel suo libro?
Il libro nasce da anni e anni di interazione con i miei studenti. Non vuole essere una guida lontana dal contesto dei giovani oppure una cosa molto accademica. Il punto è: non occorre parlare sempre come un libro stampato, ci possiamo permettere di parlare in maniera informale, destrutturata, giocosa, ludica ma questo non ci giustifica nel non conoscere le regole della nostra lingua. Quindi quello che cerco di fare nel libro è dare una ripassata alle regole più semplici, più che altro del costrutto, però mostrando anche come con l’italiano si possa giocare. Giocare con la lingua italiana è una cosa molto bella: creare parole nuove, usare le abbreviazioni, le faccine. Sono completamente a favore. Quello che io spiego è che non si può usare in tutti i contesti. Un “cmq” per comunque va benissimo in un tweet, in un post sul tuo Facebook personale ma, per esempio, quando twitto come Accademia della Crusca cerco di evitare queste cose. Anche se ogni tanto “cmq” oppure la faccina ce la metto: è un po’ la strizzatina d’occhio al mezzo, ce la possiamo anche permettere.
Anche l’accademia della Crusca ha le sue modernità: già, per esempio, ha un Twitter!
Sì, Twitter e anche Facebook. Su Twitter abbiamo quasi 70.000 iscritti al profilo, noi li chiamiamo seguitori, che è una vecchia parola presa da Boccaccio. Su Facebook, che non gestisco io ma la mia collega Stefania, sono più di 300.000. Siamo un team.
Un tweet dell'Accademia della Crusca
Scusi l’ignoranza, ma cosa significa grammarnazi?
Il riferimento è al triste nazismo. Ho osato metterlo nel titolo perché comunque il referente in questo caso è abbastanza scontato: in generale con nazi si indicano anche tutte le persone che sono inflessibili in qualcosa. Soprattutto in inglese ci sono definizioni come “hygenenazi”, nazista dell’igiene e altre cose del genere. Il grammarnazi è un inflessibile nell’applicazione delle regole, è la persona che va in giro con il ditino alzato a far notare alla gente che sta sbagliando: “guarda che si dice così, non si dice colà”, che è piuttosto antipatico. Senza diventare grammarnazi si riferisce al fatto che si può conoscere e usare bene la lingua senza andare in giro con il ditino alzato.
Per concludere, visto che a Normcore si parla di musica: che influenza ha il linguaggio della musica sulla società e viceversa?
Intanto la musica succhia dalla società perché i brani che fanno davvero presa hanno riferimenti socio-culturale ben precisi presi da quello che li circonda, dalla contemporaneità. Viceversa, soprattutto il linguaggio giovanile, deve moltissimo alla lingua delle canzoni perché ne trae ispirazione, soprattutto ne trae tanta fraseologia, modi di dire, frasi fatte. Pensiamo anche solo al fatto che tutti ancora oggi riconoscono “le bionde trecce gli occhi azzurri e poi”, per dire. Io sono cresciuta a pane e musica di un certo tipo, ascolto musica industriale (come i Nine Inch Nails) e mi traducevo tutti i testi dall’inglese; il mio inglese viene in buona parte dalla musica. La generazione successiva, mia figlia Eva, è fan di Rovazzi e quando l’altra sera mi ha chiesto cosa c’era per cena e le ho risposto “petto di pollo” lei mi guarda e mi fa: “è tutto molto interessante”. Alla faccia di chi dice che non ci sono commistioni tra vita e musica! Persino lei a nove anni subisce il fascino delle canzoni.
Comunque alcuni testi sono vere e proprie poesie e quindi eccome se dalla musica si può trarre ispirazione, anche linguistica.
Nine Inch Nails - The Becoming
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