L'urgenza di depenalizzare il sex work: intervista a Paola Paganotto
Come recita l’Encyclopedia of Prostitution and Sex Work, “Sex work è
stato concepito come un termine non stigmatizzante, privo della
caratterizzazione negative dei termini puttana o prostituta. Il punto era
veicolare l’idea di una professionalità del lavoro sessuale, contro la
svalorizzazione compiuta da gran parte della società”. Proprio attorno a questo
concetto ruota “Sex Work. Il farsi lavoro della sessualità” (Bebert
Edizioni/2016) di Giulia Selmi illustrato da Paola Paganotto, del collettivo
Queers of Chaos che racconta ai microfoni di Normocore - La Normalità è
Hardcore come si è evoluta la figura del sex workers e come ha sviluppato il
suo lavoro di ricerca ma anche della privazione degli spazi sociali come XM24.
Ciao Paola benvenuta a Normcore! Iniziamo proprio dai sex workers:
in un contesto sociale e culturale in cui il corpo delle donne è continuamente
posto al centro di battaglie politiche, com’è cambiata la percezione sociale
delle donne che si prostituiscono?
La percezione è cambiata
abbastanza, soprattutto negli ultimi 35-40 anni, ma soprattutto all’interno di
quelli che sono i movimenti femministi e di rivendicazione dei diritti delle
sex workers che fino a prima degli anni ’80 non c’erano. Le prime interpretazioni
sulla prostituzione in occidente arrivano dalla morale cristiana che
considerava le sex workers come identità devianti soprattutto rispetto a quella
che doveva essere l’identità della donna, come madre, moglie, donne per bene.
Poi nel 1893 Cesare Lomboroso,
assieme a Guglielmo Ferrero, ha scritto quel libro aberrante che è “La donna
delinquente, la prostituta e la donna normale”. Il libro cercava di dimostrare
che la prostituzione fungeva per le donne da elemento sostitutivo del delitto:
così, secondo lui, come esisteva il criminale nato esisteva anche la prostituta nata.
Nel corso del ‘900 comincia a
essere studiato il fenomeno della prostituzione non più come un attributo
deviante ma più come un prodotto radicato in precisi contesti urbani. Queste
interpretazioni però mantenevano un focus sulla normalità della prostituzione
contrapposto al ruolo normale della donna nella società.
A partire dagli anni ’70,
invece, viene elaborata una lettura completamente diversa, soprattutto
all’interno del movimento femminista, nonostante all’interno del femminismo vi
fossero delle correnti abolizioniste. Le abolizioniste sostenevano che
“abbracciare il sesso della prostituzione come l’identità che ci si sceglie
vuol dire essere attivamente impegnate nel promuovere l’oppressione delle donne
a favore di sé stesse”. Le sex workers iniziarono a mostrare un po’ di sofferenza
rispetto all’immagine che le
attribuivano queste femministe e quindi iniziarono a coalizzarsi: nell’82 nasce
il “Comitato per i diritti civili delle prostitute” fondato da Pia Covre, Carla
Corso e altre colleghe, con cui rivendicavano uno spazio per le lavoratrici del
sesso all’interno del movimento femminista e la riscrittura della prostituzione
come “sex work”, per uscire dalla stigmatizzazione.
Le tue illustrazioni sono il risultato di una ricerca iconografica
sulla realtà della prostituzione e del sex work da fine ‘800 ad oggi. Cosa ti
ha colpito di più?
La cosa che forse mi ha colpito
di più è stata la difficoltà di incontrare delle raffigurazioni di prostitute
che potessero ridare un’immagine che non fosse troppo oggettivizzata e
stereotipata. Il mio progetto si è svolto ricorrendo a materiale fotografico.
La mia idea era quella di documentare, nel tentativo di ridare un’immagine quanto
più sincera e meno stereotipata possibile, per rendere le sex workers come
soggetti e non oggetti dell’immagine e ho cercato di ritrovare anche la loro
produzione di immagini quale poteva essere.
Per tutta quella che è la parte
iconografica che ho trovato prima degli anni ’70, sono ricorsa alle tavole di
Lomboroso. Ad esempio una tavola riproduce venticinque volti di prostitute
russe, che lui usava come modelli per le sue assurde tesi fisiognomiche; una
foto che ritrae delle donne che alla fine dell‘800 bevevano whisky in piazza a
York, cosa che al tempo faceva una donna “non perbene”, o ancora alcune foto di
repertorio scattate in una delle case chiuse di Milano prima delle Legge
Merlin.
Per la parte post anni ’70 ho
consultato diversi blog transfemministi e di associazioni che cercano di
lottare per il riconoscimento dei diritti. Lì è stato più semplice.
La cosa che mi ha colpito è che
se vai su Google e cerchi la parola “prostituta” escono delle immagini molto
stereotipate.
Illustrazione di Paola Paganotto dal libro “Sex Work. Il farsi lavoro della sessualità”
A maggio dello scorso anno Amnesty International ha redatto un
documento a richiesta di una depenalizzazione del sex working, per assicurare
protezione da violenza fisica, estorsione e coercizione e decriminalizzare il
lavoro sessuale consensuale. Visto il recente aumento del fenomeno migratorio e
la conseguente necessità di queste persone a ricorrere lavori in nero tra cui
il sex work, pensi che una legge che lo depenalizzi sia ancora di più oggi
necessaria?
Sì, sono le sex workers per
prime che sostengono che solo la depenalizzazione può riuscire a garantire loro
il riconoscimento dei diritti lavorativi. Sostengono anche che gli aspetti
negativi connessi al mercato, come lo sfruttamento e il traffico, sono
imputabili alla condizione in cui esso stesso si esercita. Per cui la
depenalizzazione fa sì che le leggi specifiche sulla criminalizzazione del sex
work siano eliminate e che quindi anche il sex work venga trattato al pari
degli altri lavori. Nessun* chiede che il lavoro sessuale sia regolamentato e
permesso ma semplicemente che questi lavoratrici/ori siano protetti da leggi
lavorative, sanitarie e misure di sicurezza contro lo sfruttamento e la tratta.
Illustrazione di Paola Paganotto dal libro “Sex Work. Il farsi lavoro della sessualità”
La cosa assurda, infatti, è che le persone che svolgono lavoro
sessuale rinunciano spesso a sporgere denuncia alla polizia per paura di subire
sanzioni e sono esposte quindi a rischi sia di sicurezza personale sia di
sfruttamento.
Come collettivo Queer of Chaos siete molto attive nella promozione
dei diritti delle donne e della comunità Lgbtq. Oltretutto il vostro punto di
appoggio è XM24, che è al centro di una forte polemica in questi giorni. Pare
che la nostra amministrazione comunale non gradisca il lavoro che fate sul
territorio e ritiene più utile un’altra caserma, in un momento in cui, tra
l’altro, vengono operati continui tagli ai fondi alle forze dell’ordine.
Oltre al progetto Sex Workers quali altri temi affrontate?
Come collettivo ci occupiamo di tutti quei temi che
hanno come presupposto una critica al binarismo di genere, la lotta al sessismo
e la violenza di genere. Il collettivo è nato all’interno della scena punk, la
sottocultura che per ora riesce ad accogliere meglio temi come questi,
nonostante ci sia un percorso di liberazione in atto. Non è che siamo del tutto
liberi.
Beh, il
mondo della musica è ancora molto machista.
Sì, diciamo che è molto interiorizzato e noi cerchiamo
di scardinare certe dinamiche,. Infatti, tra le varie attività che svolgiamo
all’interno di XM24, organizziamo concerti in cui cerchiamo di dare spazio
anche a individualità che non si riconoscono all’interno del binarismo di
genere come transgender, transessuali,
Inoltre organizziamo dibattiti su diversi temi: oltre
al sex work, ad esempio, ne abbiamo fatto uno sul sessismo all’interno degli
spazi sociali e stiamo portando avanti un festival, che è arrivato lo scorso
settembre alla seconda edizione, in cui organizziamo dei workshop serigrafia e
musica aperto a donne e quel.
Il corso di serigrafia tenuto a XM24
Noi ci appoggiamo a XM24, uno spazio molto importante
perché è uno dei pochi luoghi sociali autogestiti in città che riesce a dare spazio
a queste iniziative in maniera concreta, facendo in modo che le persone possano
attivarsi. Ci troviamo quasi imbarazzati davanti a quest’idea di voler aprire
una caserma. Siamo di fronte a un’amministrazione che finora ha risposto
all’esigenza di spazi usando la questura.
Vorrei ricordare e invitare tutti alla battaglia per
sostenere XM che si chiama “Battaglia per XM24: compatibile con realtà” visto
che sostengono che XM24 non sia compatibile con il quartiere. Ci sarà un
incontro organizzativo mercoledì 22 febbraio in vista di una giornata che si
vuole lanciare il 4 marzo in cui organizzeremo iniziative diffuse per la difesa
dell’autogestione in tutta la città.
Alga Kombu - Grida
Commenti
Posta un commento