Neneh Cherry - Manchild


Una cosa vecchia. Era il 1989 quando esce l’album di debutto, Raw Like Sushi, di quella dea di Neneh Cherry. Già il titolo..capito? Nell’89 già lei parlava di sushi quando qui ci siamo arrivati almeno 15 anni dopo. Ma, cibo a parte, nei crediti del suo immortale debutto da solista Neneh Cherry scriveva in una nota: “Se devi fare qualcosa, fallo bene… ma bene!”. Nonostante un altalenante successo commerciale che non è mai arrivato a bissare le vendite del fortunatissimo Raw Like Sushi, Neneh è diventata sinonimo di integrità artistica, sperimentazione e soprattutto crossover. Figliastra del grande jazzista Don Cherry, Neneh è cresciuta tra Stoccolma, New York e Londra in un ambiente a dir poco bohémien, zeppo di musicisti e serate passate al piano con il padre prima, il musicista Ahmadu Jah e la banda Cherry in un secondo momento. A quattordici anni, album degli X-Ray Spex incollati al giradischi, Neneh è approdata a Londra verso la fine del periodo punk e ha trovato nel genio e nella sregolatezza delle Slits un lasciapassare per la scena post-punk londinese. Tra un concerto e l’altro, Neneh è diventata presto un collante per alcuni dei gruppi più influenti del periodo, condividendo con Ari Up la passione per il reggae e il dub e dando il suo apporto ai Rip Rig + Panic assieme a, tra gli altri, gli ex Pop Group Gareth Sager And Bruce Smith. Abituata fin dall’infanzia al mix tra generi e sensibilità diverse, Neneh ha contribuito a conciliare lo spirito rivoluzionario del post-punk con sonorità black, anticipando le trasformazioni successive di gruppi coevi come PIL e Lemon Kittens. Nel 2014 è uscito uno dei miei dischi preferiti dell’anno, Blank Project, ma oggi noi la ricordiamo agli esordi, con Manchild.

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