I migliori 20 album del 2015 secondo La Totta @Normcore!


Giunti alle ultime ore dell'anno, mi pare d'obbligo che anche io dica la mia sulla musica che è passata in convento. 
Un anno pieno di nuovi artisti, di ritorni a lungo attesi e di piacevoli conferme. Ma un anno dove, per me, saranno pochi gli album che ricorderemo tra dieci anni, insomma, che definirei mediocre.
Una lista che, ovviamente, rispecchia i miei gusti personali, oltre che la bontà della composizione stessa. Diciamocelo, la musica deve essere diretta, lasciare qualcosa, emozionare, far affiorare ricordi, far sognare, arrabbiare, piangere, ballare e perché un album si possa definire tra i preferiti bisogna che almeno almeno si abbia voglia di riascoltarlo ogni tanto. E questo prescinde ovviamente dalla complessità della musica in questione ed è tremendamente personale.

Fatte le dovute premesse, ecco la mia personale classifica dei 20 migliori album del 2015.
Cin cin




20. Wimps - Suitcase (Kill Rock Stars)
Seattle la fa da padrone in questa classifica. Il post-punk del trio è diretto, tagliente, semplice, allegro e ironico. Cosa volere di più?

Wimps - Suitcase

19. Moon Duo - Shadow Of The Sun (Sacred Bones)
Album di transizione del duo ma comunque un disco incalzante e godibilissimo. Allegra ossessività.


Moon Duo - Wilding

18. Low - Ones and Sixes (Sub Pop)
Niente di nuovo sotto al sole ma una riconferma del valore del trio di Duluth nel loro undicesimo lavoro. Un album che spiega il motivo per cui sono ancora lì da oltre 20 anni. Pura essenza Low.

Low - What Part Of Me


17. The Libertines – Gunga Din (Harvest)
Tornano dopo dieci anni ed è come se non fossero mai passati. Ristabilita la mitica coppia Pete Doherty - Carl Barat, che non ha perso lo smalto di un tempo, con questo terzo album riscocca la scintilla sopita e la memoria torna a quell'attitudine. Lo stile è quello, un misto di indie-rock, influenze post-punk, richiami reggae e inclinazione garage ma la maturità del gruppo e dei testi è la vera novità che, speriamo, duri più a lungo.
Che lo amiate o lo odiate, Doherty sa fare il suo mestiere e vederlo passeggiare con Barat per le strade di Bangkok riempie il cuore (e il fegato).
P.s. Ascoltatelo prima di schifare.

The Libertines – Gunga Din


16. Unknown Mortal Orchestra – Multi-Love (Jagjaguwar)
Nuova transizione per Ruban Nielson che dalle influenze stilistiche della psichedelia anni '60 passa al soul e all'R'n'B degli anni '70. E gli riesce bene, facendo tornare alla mente il primo Prince, Beck e Sly Stone.


Unknown Mortal Orchestra – Multi-Love

15. Girlpool - Before The World Was Big  (Wichita)
La potenza della semplicità e del sincronismo: due ragazze, Cleo Tucker alla chitarra e Harmony Tividad al basso. Così semplice ma così efficace.


Girlpool - Ideal World

14. Shannon & the Clams - Gone By The Dawn (Hardly Art)
Un modernariato musicale travolgente. La mitica Shannon e le sue vongole creano un disco misurato, che riesuma il doo-wop in maniera magistrale e scaccia la malinconia.


Shannon & the Clams - The Burl

13. Deerhunter – Fading Frontier (4AD)
Giunti al settimo album, Bradford Cox e soci non finiscono di stupire, imboccando nuove strade e perdendosi tra i confini dei generi. Loro vogliono rimanere garage, non prendere la strada principale, non entrare nella porta dorata del mainstream. E come dargli torto quando il risultato è un album ricco di dettagli, a tratti sognante ma che sa anche come far sbattere delicatamente le chiappe.

Deerhunter – Snakeskin

12. Girls Names – Arms Around a Vision (Tough Love)
Dopo i chiari riferimenti new wave del precedente album, con questo terzo album i quattro di Belfast puntano dritto verso il post-punk dove rigidi sintetizzatori, dissonanze, chitarre psych la fanno da padrone ma dove i lontani richiami al britpop non mancano. Cambi stilistici repentini, alternanza di rabbia, malinconia e allegria consacrano il gruppo nord-irlandese tra i migliori in circolazione.


Girls Names - Chrome Rose

11. La Luz - Weirdo Shrine (Hardly Art)
Il sole del surf rock ha un ombra dark. Prodotto da Ty Segall, un album costruito sul classico stile dopo-wop ma che stupisce per la cupa allegria che trasmette. Mentre lo si ascolta viene da sballettare con un cocktail alla mano ma guardandosi di tanto in tanto alle spalle.


La Luz - Weirdo Shrine (album completo)


10. Kendrick Lamar - To Pimp A Butterfly (Aftermath Entertainment)
Un gran album, bellissimo, vero. Ma ti deve piacere l'hip hop. Sicuramente un disco alla portata anche di chi non ama particolarmente il genere. Un album impegnato, politico, forte, contaminato dal jazz, dal soul, ben costruito, vario. Cose per nulla scontate nell'hip hop. Ma comunque per ascoltarlo più volte ti deve piacere l'hip hop. Altrimenti, come nel mio caso, lo ascolti due volte, ma preferisci altro, anche se è un album fatto da dio. E la mia impressione è che la moda imperante del rap nel mondo abbia influenzato un po' le classifiche. E forse anche me. Ma ovviamente è il parere di una che non conta una mazza, e che quindi può dire anche quel che le pare.


Kendrick Lamar - King Kunta

9. King Khan & The BBQ Show - Bad News Boys (In the Red)
In qualsiasi progetto si lanci il buon Arish "King" Khan si può stare certi che non è mai da sottovalutare. Torna dopo sei anni  con il fido Mark "BBQ" Sultan - partner nel punk da ben 20 anni - e, come sempre, riescono a creare un'esplosiva pazza miscela di punk, psicadelia, surf, doo-wop, rock, garage semplicemente travolgente. Vorrei essere amica sua.
King Khan & The BBQ Show - Alone Again

8. Leon Bridges - Comin' Home (Columbia)
Debutta e sbanca. Un chiaro riferimento alla soul music anni '60, ma anche al gospel e al jazz. Il soul di Sam Cook, di Otis Redding, la musica dei neri che Leon ha ben chiara in mente e che, nonostante i mutamenti che ha subito nei decenni, non ha intaccato la sua idea di musica black. Ma sono chiari riferimenti che non scadono nella banale copiatura. Leon Bridges sa come riportare quelle atmosfere polverose ai giorni nostri. 


Leon Bridges - Coming Home

7. Kurt Vile -  'B’lieve I’m Goin’ Down… (Matador/ Self)
Veniva da un capolavoro acclamato dalla critica ed era dura stare al passo. Ma il cantatutore di Philadelphia riesce a mantenere la promessa, con testi brillanti e brani, seppur spesso di semplice costruzione, assolutamente inconfondibili e piacevoli.


Kurt Vile -Pretty Pimpin

6.  Chastity Belt - Time to Go Home (Audioglobe)
Il quartetto di Walla Walla trasferitosi nella patria del punk, Seattle, si è costruita in zona una bella reputazione. Testi diretti, in perfetto stile riot, e autoironia a palate che buona parte dei musicisti in circolazione ha dimenticato di cosa si tratti.

Chastity Belt - Cool Slut


5. D’Angelo – Black Messiah (Rca)
Poco prima dello scoccare dei 15 anni di attesa, D'Angelo sorprende tutti ed esce con il suo capolavoro gli ultimi giorni di dicembre del 2014, non rientrando nella maggior parte delle classifiche di fine anno delle riviste specializzate che, evidentemente con il fuoco al culo, non aspettano manco che l'anno finisca. Una mossa commerciale del nostro? D'Angelo sapeva ciò che faceva e si vede che poco gli fregava dei listoni di capodanno. Magari anche una mossa furba, prudente, chissà. Comunque sia, un album che non ha deluso le aspettative create dopo Vodoo. Un album forte, politico, che esce proprio in un momento in cui il razzismo in America si fa sentire chiaro e tondo. E, visto che l'album non è rientrato nei suddetti listoni, mi pare il caso di non dimenticarlo e riascoltarlo a go go anche perché si è guadagnato ben tre nomination ai prossimi Grammy Awards: miglior album R&B, miglior canzone R&B con "Really Love" e sopratutto, tra i quattro migliori dischi dell'anno. Se fosse uscito da poco starebbe sicuramente nella top 3, ma non so nemmeno se vale come album di quest'anno. Comunque, che dire se non: bentornato.


D'Angelo - 1000 Deaths

4. Du Blonde - Welcome Back To Milk (Mute Records)
Un album non considerato dalla critica nelle classifiche di fine anno. Zero. Eppure in alcuni casi i voti delle riviste specializzate erano pure più alti dell'osannato To Pimp A Butterfly di Kendrick Lamar. Vai te a capire. Un album coinvolgente, pieno di contaminazioni ed una voce precisa ma arrabbiata al punto giusto. Lei cantautrice, musicista, decisamente eccentrica - e direte: e sai che novità, tutti fanno i pazzi per farsi notare. Ma il punto è che Beth Jeans Houghton sa come farlo, ne ha un perfetto controllo, non esagera, calibra il tutto ed è in grado di rendere davvero unico ciò che fa. Orientato al rock, fa l'occhiolino al glam-rock come al punk, creando un album proprio divertente.



Du Blonde - Chips to Go


3. Sleater Kinney - No Cities To Love (Sub Pop) 
Un ritorno atteso a lungo. Tra i pilastri del movimento riot grrrl. Poteva essere un fallimento epico, ma no, Carrie, Corin e Janet sanno bene come cantarla e hanno riportato le riot grrrl d'attualità ai tempi nostri, dove il femminismo e il rispetto per le donne vacilla nuovamente. Le Sleater Kinney fanno un album senza essere autocelebrative, ricordando da dove vengono ma portando qualcosa di nuovo dal sapore arrabbiato del passato. L'album più accessibile e più maturo delle ragazze di Portland.

Sleater Kinney - Price Tag

2. Courtney Barnett - Sometimes I Just Sit' (Marathon Artists)
Courtney è prima di tutto una cantastorie. La cantautrice australiana ama giocare con le parole e colpire dritto in faccia, sempre con il sorrisetto sarcastico sulla bocca. La forza delle parole con una strafottenza grunge.


Courtney Barnett - Sometimes I Just Sit' (album completo)

1. Alabama Shakes – Sound and Color (ATO)
La voce di Brittany Howard è inconfondibile, ruvida, penetrante. Durante l'anno l'abbiamo sentita anche nel favoloso progetto parallelo garage punk Thunderbitch - che adoro - ma questo album in cui lei stessa ha scritto e composto i brani, non si può non amare. Il blues rock viene declinato in ogni sua possibile sfumatura e influenza, passando dal punk all'R&B dal rock '60/'70 fino alle ballads. Certo, ai Grammy si scontra per il miglior album con il favorito Kendrik Lamar e con 1989 di Taylor Swift ma è un album che avrebbe tutte le carte in regola per vincere. Un sentimento retrò che è nel loro DNA ma senza cadere mai nel parossismo, tremendamente attuale e ricco di arrangiamenti inaspettati. Se i Rolling Stones degli anni '70 avessero vissuto nel presente, suonerebbero esattamente così.

Alabama Shakes - Gimme All Your Love






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